Terapia breve strategica: è possibile risolvere problemi con un tempo ridotto?

La Terapia Breve Strategica (Brief strategic therapy) nasce a Palo Alto in California dal gruppo di ricercatori del Mental Research Institute negli anni ‘70 del secolo scorso. La base teorica principale motrice di questo nuovo approccio al disagio mentale risiede nella teorizzazione del costrutto delle tentate soluzioni.

Secondo i teorici dell’approccio Breve Strategico infatti, il disagio mentale non si struttura a partire da un evento traumatico, ben rintracciabile nella storia del soggetto (evento ricordato o implicito) come teorizzano la maggior parte delle terapie classiche; ma piuttosto si va a strutturare a seguito delle modalità che il soggetto adopera per tentare di sottrarsi a quel disagio percepito.

Non è tanto il cosa è accaduto quindi, ma tutto ciò che è stato fatto dall’individuo a seguito di quell’avvenimento che va a creare il circolo vizioso di reazioni che creano e mantengono il problema andando a creare il vero e proprio disturbo.

Ne abbiamo parlato meglio con la Dott.ssa Erika Almadori, psicologa che svolge la sua attività a Terni e attualmente studente presso il centro di Terapia Strategica di Arezzo.

TBS e la “Tentata Soluzione”

Come detto questa modalità di comportamento viene chiamata “tentata soluzione” proprio perché le azioni messe in atto sono parse risolutive in un primo momento ma poi iniziano a diventare disfunzionali ai fini della risoluzione del problema.

Da questo assunto quindi ne consegue che ogni tipo di disturbo non è inteso come una malattia biologica ma come un equilibrio disfunzionale che deve essere corretto e riportato ad un equilibrio sano e funzionale.

La base dell’intervento strategico quindi non è rintracciabile in teorie dogmatiche e precostituite o nell’interminabile racconto delle vicissitudini del soggetto ma si basa su obiettivi pattuiti tra la persona ed il terapeuta per andare a lavorare sulle caratteristiche del problema portato dal soggetto durante il colloquio.

Gli obiettivi sui quali è necessario lavorare dipendono dalla natura del problema poiché ogni patologia o disturbo sottende una logica di funzionamento che è necessario sovvertire per far uscire il soggetto dallo stallo di pensiero e/o comportamentale che si è andato a costituire.

Solo una volta che il circolo vizioso è stato interrotto sarà infatti possibile introdurre una nuova logica volta alla soluzione definitiva del problema.

Quindi, come avviene il cambiamento?

Oltre agli obiettivi concordati tra terapeuta e persona, volti alla risoluzione dei problemi attraverso il problem solving funzionale, per far si che il cambiamento della persona avvenga è necessario avvalersi di quello che Franz Alexander nel 1946 chiamò “esperienza emozionale correttiva”.

L’esperienza emozionale correttiva è un pensiero, un comportamento o qualsiasi sensazione possa essere esperita dal soggetto che contraddice la sua credenza precedente.

Gli obiettivi servono quindi a spingere il soggetto a sperimentare in prima persona esperienze significative contrarie alle credenze che lo intrappolano all’interno del disagio psichico che lo affligge.

La ricerca all’interno della terapia breve strategica continua, soprattutto ad opera del Centro di terapia strategica di Arezzo del prof. Giorgio Nardone, allievo di uno dei fondatori del metodo presso il MRI, Paul Watzlawick.

A differenze di moltissimi altri modella di psicoterapia la terapia strategica vanta risultati per efficienza ed efficacia nella ricerca scientifica sul metodo ed è considerata una best practice per alcune importanti psicopatologie come il disturbo ossessivo compulsivo, binge eating, anoressia giovanile, attacchi di panico.